dott. Alessandro Di Grazia
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giovedì 12 aprile 2012


Alla fine di gennaio 2012, presso il Centro Veritas di Trieste, diretto da padre Mario Vit, si è concluso il seminario su Le parole nomadi. Abbiamo preso in esame con i partecipanti, circa una dozzina, quattro parole che ci sembravano particolarmente "nomadi", cioè instabili nella nostra società in profonda trasformazione. Rispetto, Altruismo, Desiderio e Comprensione sono le parole a cui abbiamo dedicato tre incontri ciascuna. Vorrei, man mano che il lavoro viene riordinato offrire a chi mi legge alcuni spunti che sono emersi dalle riflessioni con i partecipanti.
I tre incontri erano rispettivamente dedicati alla stesura di una lista di parole affini a quella presa in esame, all'esposizione libera di vissuti connessi con quanto emerso dalle liste tramite lo strumento della scrittura ed infine a delle riflessioni più ampie ma non astratte o disgiunte dall'esperienza. Questo modulo, che articola la mia proposta di pratica filosofica, lo abbiamo riproposto per ogni parola.

Ma ecco alcune parole "amiche" del "Rispetto"
rispetto
riguardo
stima
ossequio
riverenza
considerazione
dignità
autorità: rispettare una persona, i consigli, la legge
rispettabile nel senso di essere pregevole
dabbene
che ha valore
meritevole

Alcuni giochi linguistici
Rispettivamente: ciò che riguarda ognuno secondo il suo ordine in paragone a.
Rispettivo: che riguarda quella determinata cosa.
Rispettoso: in Machiavelli riguardoso nel senso di osservanza dell'autorità e della legge. L'essere rispettoso di una cosa, ma allo stesso la cosa è degna di essere “riguardata” e vista.
Potrebbe essere interessante vedere come è andato mutandosi il senso di dignitario in notabile.
Anche il notabile contiene in sé il senso del rispettabile in senso però più borghese. Notabile è anche chi o cosa può essere notato, cioè visto, reso oggetto di sguardo, temi non estranei all'idea di rispetto.
 
Qui di seguito una serie di parole connesse a rispetto
rispetto stima ossequio riverenza considerazione dignità autorità: rispettare una persona, i consigli, la legge essere pregevole dabbene che ha valore meritevole dabbene
Rispettivamente: ciò che riguarda ognuno secondo il suo ordine in paragone a quello dell'altro
Nel 1500 “rispetto” però era anche il nome per una forma poetica caratterizzata più o meno da una stanza di argomento amoroso nell'ambito della produzione popolare.
La genealogia della parola contiene in sé quindi una direzione legata a ciò che è investito dall'alto di una qualche proprietà degna di essere rispettata, ma anche dal sentimento popolare legato all'amore e alla sublimazione dell'erotismo.

Etimologia
Spectare= guardare
re-spectare= guardare indietro
re-spectu= partic. passato di spectare e quindi “visto indietro”
La forma intransitiva di “spectare” è “spicere”, da cui “respicere”.
Facendo il calco dal latino risulta che ri-spetto e ri-guardo hanno lo stesso significato.
Da questo ultimo risultato siamo indirizzati all'altro versante del rispetto e cioè a quello del prendersi cura di, del trattare con riguardo qualcuno o qualche cosa – si può avere rispetto anche per degli oggetti, basti pensare a quelli che sono investiti da una valenza magica o religiosa o semplicemente affettiva - ; trattare con riguardo non rimanda solo all'attenzione che poniamo nel rapportarci a qualcuno che è in posizione di superiorità o a cui comunque riconosciamo un valore particolare, ma anche all'amorevole cura e attenzione che riversiamo su un essere o un oggetto cui riconosciamo allo stesso tempo una fragilità o un essere indifeso e un altissimo valore.
Essere bruschi con un infante mostra la mancanza di questo atteggiamento fondamentale di cura amorevole richiamata dalla parola “riguardo”.
In origine re-spectu” indicava propriamente solo il voltarsi indietro spaziale, solo dal '33 ca. in poi la parola ha assunto un valore temporale e quindi con valenze etiche.

Ma ci sono altre valenze di quest'area semantica; qui di seguito i componenti di questa famiglia linguistica:
ri-specchiare innanzitutto, che rimanda ovviamente a ciò che è simile, che assomiglia ad un modello o all'origine di un'immagine. Nell'assonanza tra rispettare e rispecchiare possiamo inserire ulteriori considerazioni e cioè ad esempio il fatto che noi tendenzialmente o per principio, possiamo rispettare solo ciò che ci è simile e perciò rispettiamo ciò in cui ci rispecchiamo. Ciò in cui non ci riflettiamo non diviene nemmeno oggetto di riflessione, venendo così a mancare il senso del proprio, dell'appartenenza ad un altro essere.
Speculare
Riflettere con attenzione
Guardare con interesse
Stimare, che rimanda alla valutazione di un valore, ma anche all'attribuzione di fiducia e di consenso sociale che viene concesso a chi è degno di stima. Degno di essere stimato, quindi degno di essere valutato, calcolato. In senso spregiativo si dice “non lo calcolo nemmeno”. Dove il calcolo sostituisce lo stimare calcolare, si passa da un'operazione di gradimento ad una di dispregio.
Quindi reputazione è il valore che gli altri ci attribuiscono a fronte di un calcolo, di una stima, anche di una computazione. Nell'atteggiamento rispettoso abbiamo sempre anche un “calcolo” delle virtù pratiche, di come l'uomo si attiene e si intrattiene col mondo.






martedì 3 aprile 2012

S. Weil - L'Iliade o il poema della forza


A cura di       Alessandro Di Grazia
Traduzione di   Francesca Rubini
Introduzione di Alessandro Di Grazia
Edizioni Asterios  - Trieste 2012
 
All'inizio di gennaio io e Francesca abbiamo terminato il lavoro di traduzione e la cura di questo intenso e bellissimo testo della Weil che Asterios di Trieste ha pubblicato alla fine di febbraio .
Il testo, benché economico e di piccole dimensioni, è dotato di un ricco apparato bibliografico che indica tutte le opere della Weil tradotte in Italiano e da una biografia essenziale ma sufficientemente ampia per cogliere lo sviluppo della sua opera e della sua vita interiore.
 
Qui di seguito la quarta di copertina
“La forza trasforma chiunque da essa venga toccato”. Questa è per Simone Weil l'essenza del contenuto dell'Iliade. Nel poema omerico non si narra tanto l'eroismo nella battaglia o le fantastiche ingerenze degli dei nei casi umani. L'Iliade è piuttosto il poema della Forza e del potere che essa ha da una parte di portare alla rovina chi la esercita e dall'altra di pietrificare e ridurre a cosa chi la subisce. Allo stesso tempo, nel dispiegarsi tragico della forza e nella dismisura della volontà che l'accompagna, la violenza e la sopraffazione trovano il loro pareggio nella pietà e nell'amore, ma non nel perdono: il greco non conosce infatti questa ambigua categoria propria della cristianità. Ed è grazie a questa cruda verità, in cui l'uomo viene riportato alla sua finitezza, che la grande narrazione fondativa dell'occidente, si mantiene nella luce del mito. L'occhio di Omero guarda e narra con imparzialità quasi divina le violenze e le alterne sventure tanto degli Achei quanto dei Troiani. Lo stesso occhio, attraverso lo sguardo di Simone Weil, osserva, in un processo di attualizzazione del mito, tanto lucido quanto partecipe, l'avvicinarsi della tempesta europea. Con questo sguardo, “divenendo simili a Dei”, come diceva Goethe, la Storia, in una sorta di sospensione temporale, raccontando se stessa diviene profetica.


L'Iliade, o il poema della forza fu scritto da Simone Weil tra il 1936 e il 1939 e tra il 1940 e il 1941 uscì sui “Cahiers du Sud” a Marsiglia. É uno dei pochissimi testi pubblicati mentre Simone Weil era ancora in vita.

lunedì 30 gennaio 2012

Inattualità del pensiero debole


Qui un intervento di Gianni Vattimo sul libro di Pier Aldo Rovatti Inattualità del pensiero debole, edito da Forum di Udine


 Esce nelle librerie a fine gennaio Inattualità del pensiero debole, quasi un instant book, che si inserisce nel dibattito tra Vattimo e Ferraris che, con i suoi ultimi lavori, si è distanziato definitivamente dalla tradizione ermeneutica per approdare al neo realismo. Il testo prende il titolo dalla conversazione con Alessandro Di Grazia che si articola su tre temi: Verità, Potere e Soggetto. Quest'ultima parte termina con una riflessione sul concetto di cura che interpella la Consulenza filsofica in modo critico. Il riferimento d'obbligo è il testo di Rovatti La filosofia può curare? edito da Cortina nel 2006.

lunedì 31 ottobre 2011

Parole nomadi


Isabella Pugliese intervista Alessandro Di Grazia sul ciclo di incontri 
Parole nomadi per la cura del sè, in cui si lavorerà con le pratiche filsofiche.

Programmi dell’accesso di RaiRegione FVG
(messa in onda 7 ottobre 2011)




Isabella
Buongiorno ai radioascoltatori. Mi chiamo Isabella Pugliese e – come forse ricorderete perché sono venuta ancora in Rai – sono la segretaria del Centro Veritas. Oggi è con me Alessandro Di Grazia, uno dei docenti dei 3 Corsi del I° semestre che il nostro Centro di Trieste organizza.

Vorremmo sapere da Alessandro Di Grazia il perché del suo corso su Parole nomadi per la cura del sé. Laboratorio di pratiche filosofiche: cosa si propone e in che cosa consiste? …

Alessandro
Innanzitutto grazie per darmi la possibilità di essere qui con voi.
Forse la prima cosa da notare è l'apparente contrasto tra le parole “filosofia” e “pratica”. In genere l'opinione comune non è molto tenera sull'importanza da attribuire alla filosofia, la considera per lo più una materia astratta ed inutile. Molto spesso ciò è purtroppo vero, però il secolo appena trascorso ha visto lo sviluppo di modi di intendere e di “fare” filosofia che hanno recuperato, e bisogna dire, finalmente, un certo rapporto con la vita concreta, sia nei temi che nello stile. In fondo la filosofia non è nata come esercizio speculativo, ma come dialogo e come pratica di vita e di autoconoscenza all'interno di scuole di diverso orientamento. Socrate ne è l'esempio più chiaro, ma non vanno dimenticate altre direzioni, come quella dei cinici, o venendo più vicino a noi quella della scuola di Epitteto. Insomma c'è tutta una tradizione che per secoli ha caratterizzato la filosofia in modo più o meno carsico, e che oggi tende a riemergere alla luce del sole, che riguarda la cura di sé o gli esercizi spirituali e in generale la spiritualità allocuzioni che comunque non uso volentieri perché non prive di una certa ambiguità e problematicità.
A questo proposito vorrei far notare che il titolo recita “del sé” e non “di sé” per una scelta del tutto intenzionale che, a mio avviso, ha delle importanti implicazioni.
Se avessi scelto “di sé” in fondo avrei fatto intravedere una sorta di promessa di edificazione introspettiva, una nobilitazione dell'anima verso se stessa che è il modo più o meno corrente di intendere l'autoconoscenza, un modo che presenta sempre il rischio dell'autoreferenzialità e quindi dell'avvitamento in se stessi. Con l'articolo “del” vorrei spostare l'attenzione sul fatto che se scopriamo, come io credo sia vero, che la propria soggettività ha pochissimo di autocostruzione e molto del contributo degli altri, allora possiamo pensare ragionevolmente ad una soggettività che attraversa i singoli allo stesso tempo costituendoli e superandoli.
Di questa dimensione, che ovviamente è anche e soprattutto intersoggettiva, vogliamo prenderci cura e lo faremo appunto praticamente. Poiché il cardine su cui si regge “il sé” inteso in questo senso è il linguaggio, nel corso lavoreremo con le parole. Il laboratorio sarà un'attività per così dire artigianale, dove non ci preoccupiamo di darci una teoria sull'intersoggettività o sulla realtà del linguaggio o su altro ancora, ma dove invece cercheremo di scoprire assieme quale teoria, quale visione del mondo sono sottese e funzionano all'interno del nostro comune discorrere.
Nel corso proporrò quindi di lavorare su tre parole che a mio avviso hanno iniziato un loro nomadismo, tre parole che sono un po' migranti e che subiscono spostamenti di senso sotto la spinta di condizioni sociali in forte mutamento. Esse sono:
Rispetto
Altruismo
Comprensione
Ciascuna di esse ci impegnerà per tre o quattro incontri e se ci sarà lo spazio potremmo aggiungerne una quarta che potrebbe emergere dagli interessi dei partecipanti. Cercheremo di circoscriverne il senso che attribuiamo loro e il modo d'uso nel nostro linguaggio comune e di far vivere il nostro rapporto con queste parole attraverso l'esperienza della scrittura. Ovviamente sullo sfondo dobbiamo tenere presente che il senso di questo lavoro, come dicevo prima, è quello di mettere in luce che effettivamente ciascuno di noi ha una propria filosofia che paradossalmente rimane per lo più nascosta a chi la pratica.


Isabella
Se non sono indiscreta: possiamo sapere come è nato in lei questo interesse?

Alessandro
Direi che da sempre ho ritenuto che la cultura per non essere qualcosa di fantasmatico, ma di reale non dovesse allontanarsi dalla vita, dalla quotidianità, da ciò che insomma coinvolge realmente gli uomini e li tocca nei loro interessi più profondi. Ovviamente questo non significa un appiattimento, ma anzi, proprio dove riusciamo a pensare il reale, senza teorizzarlo, lì voliamo alto. A lungo ho lavorato come operaio e artigiano, mi sono impegnato nel volontariato e per diversi anni ho diretto assieme ad altre persone una scuola privata. Sono queste esperienze, soprattutto quelle nella scuola, che hanno impresso in me l'esigenza di dotarmi di strumenti filosofici adeguati alla loro complessità e ricchezza. Ho sperimentato molto concretamente, nel bene e nel male, che l'andamento delle relazioni ed il successo di un'impresa comune sono quasi del tutto condizionate dal modo in cui pensiamo la realtà. Pensare adeguatamente ciò in cui siamo immersi fino al collo oggi è la sfida cui dobbiamo far fronte. Riuscirci è anche un amorevole tentativo di trasformazione del sé e quindi di sé.

Isabella
Grazie al dott. Di Grazia. Ricordiamo che il suo corso Parole nomadi per la cura del sé. Laboratorio di pratiche filosofiche si tiene ogni settimana, il giovedì, dalle 18.30 alle 20. Benché sia iniziato il 6 ottobre scorso, è ancora possibile iscriversi.

giovedì 10 febbraio 2011

Seminario filosofico-letterario






Quattro incontri con la

Filosofia pratica

Seminario filosofico-letterario

Linea d'ombra

Raccontare il passaggio


Ci troviamo sulla riva di un fiume, di fronte a noi il guado. Il passato si sfalda, il futuro è incerto. Siamo soli adesso.


Un percorso filosofico-letterario per trovare le parole che descrivono quei momenti cruciali della nostra biografia in cui attraversiamo la linea d'ombra della vita.

Informazioni sul seminario

Sede: Via Beccaria 6, VI piano, Ts

Orario: 17.30 - 19.30

Giorni: Venerdì 4, 11, 18. 25 Marzo


Contatti: Cell.: 349 1250 632 Mail: adigrazia@tin.it

Costo per i 4 incontri: € 30.00


A chi si rivolge: a tutti coloro che desiderano ampliare l’orizzonte di senso delle proprie esperienze e dei propri vissuti, offrendo uno spazio di riflessione libera da ogni dogmatismo o ideologia. Il seminario si realizza attraverso la capacità di interrogarsi, senza la pretesa di giungere a certezze definite. Il gruppo sarà composto al massimo da 12 persone.

Come si svolge: nell'arco di quattro settimane in cui, attraverso il dialogo libero e l'esame di esperienze concrete, si cercherà di delimitare e chiarire, anche con l'ausilio di testi di riferimento, l’esperienza della linea d'ombra nella nostra vita.

Per completare il nostro lavoro faremo un'esperienza di scrittura che ci condurrà alla conclusione del laboratorio.

Linea d'ombra è il titolo di un famoso romanzo di Joseph Conrad.

Cosa avviene mentre compiamo un'azione, assumiamo una nuova posizione o ci decidiamo per una risoluzione? Cosa accade mentre «passiamo»? Possiamo intendere «passare», sia nel senso di passare davanti a qualcosa, ma anche passare attraverso, o addirittura nel senso di tramontare o di venir meno ad un malanno, cioè di avviarsi alla guarigione.

La linea d'ombra segna questi passaggi, questi attraversamenti; su di essi non poniamo mai abbastanza attenzione, rivolti troppo spesso alla meta, al fine. Il «mentre» di un percorso è sempre in penombra, una zona grigia delimitata da una linea d'ombra.

Con un pensiero che sa interrogare la vita cercheremo di smentire, almeno in parte, l'aforisma di Oscar Wilde secondo cui «…la vita accade mentre pensiamo ad altro»!

lunedì 7 febbraio 2011

A proposito de L'Esperance


Ne Il trentesimo anno, Ingeborg Bachmann racconta, con la sua prosa asciutta e tesa, lo sbandamento e la ricerca di un'identità e di un posto al mondo alla svolta del trentesimo anno del protagonista: “lui”. Per la Bachmann è un momento di passaggio, che viene descritto attraverso i pensieri e gli occhi di un protagonista maschile, che in questo transito viene disperso e annullato nelle sue certezze e reso incerto perfino sull'identità del proprio passato e delle proprie relazioni. “Ora non è più innamorato della sua stella”. Nella narrazione si respira un'angosciato rancore nei confronti della patria: l'Austria che si trova al centro dei laceranti ricordi adolescenziali del primo capitolo del racconto. Nel 1938, anno dell'annessione alla Germania nazista, Ingeborg aveva infatti 12 anni. Con una nota sarcastica il secondo capitolo esordisce dicendo che “Di uno che entra nel suo trentesimo anno non si smetterà di dire che è giovane”. In questa esperienza di estraniamento doloroso Roma appare come una possibile via di fuga. Per raggiugerla deve disfarsi delle sue vecchie cose. “La sua stanza è già sgombra, ma in giro restano ancora alcune cose di cui non sa che cosa fare: libri, quadri, prospetti con fotografie con paesaggi costieri, cartine della città e una piccola riproduzione che non ricorda da dove venga. L'Esperance è il titolo del quadro di Puvis de Chavannes nel quale la Speranza, casta, angolosa, con in mano un ramoscello verde tenero, siede sopra un panno bianco. Sullo sfondo, appena accennate, alcune croci nere; in lontananza – plastica e marcata – una rovina; sopra la Speranza – una rosea striscia di cielo crepuscolare perché è sera, è tardi, e la notte sta per calare. Benché non appaia sul quadro - la notte verrà! Calerà sul quadro della Speranza e sulla stessa fanciullesca speranza, tingerà di nero quel ramoscello e lo farà seccare. Ma è solo un quadro, lo butta via.” In questa descrizione ci sono tutti gli elementi che caratterizzano la condizione del passaggio: la speranza che si teme possa essere soppressa dalla notte dell'esistenza reale, la fine dei sogni e dei giochi. La Bachmann mostrerà quanto sia illusoria questa prospettiva unilaterale e come la vita sia ricca d'imprevisti in grado di rimettere in gioco forze che apparivano destinate al fallimento. L'uscita dalla giovinezza non per questo però sarà meno dolorosa: “lui” uscirà da questa condizione incerta e persino morbosa grazie ad un incidente automobilistico. Una piccola catastrofe che il lettore assaporerà, assieme al protagonista come una liberazione.

sabato 25 settembre 2010

Scuole superiori

Proposta di collaborazione per un progetto di intervento di consulenza filosofica

La consulenza filosofica

Una breve presentazione

La Consulenza Filosofica nasce ufficialmente in Germania nel 1981 con l’apertura da parte del filosofo Gerd Achenbach del primo studio di Philosophisce Praxis. La parola “Praxis” è stata resa in italiano col termine “consulenza”, il termine tedesco però non indica nulla di simile, “Praxis” infatti significa “Professionale”.

Filosofia professionale dunque, in quanto praticata da un “professionista” della disciplina e rivolta alla vita concreta. E’ bene fare questa precisazione benché per motivi di utilità continueremo ad usare“Consulenza”. Infatti uno dei tratti distintivi rispetto alla galassia delle pratiche legate al counselling è che essa non è orientata a fornire soluzioni o strategie particolari.

La Consulenza Filosofica vuole fare un percorso col cliente per giungere a porre le giuste domande e a mettere a fuoco le questioni importanti.

Con la Consulenza filosofica si tratta di darsi un tempo per pensare le reali situazioni contingenti, cioè di aiutare a pensare bene ciò che non è stato ancora pensato adeguatamente: qui c’è il “professionale” del filosofo. E’ importante considerare che la relazione d’aiuto che così si instaura è sempre indiretta poiché sollecita attivamente il consultante, sia esso il singolo o un gruppo di lavoro a porsi in modo corretto le domande necessarie e soprattutto ad assumersi in proprio la responsabilità delle decisioni e delle azioni che ad esse seguiranno.

Cosa offre la consulenza filosofica?

La consulenza filosofica è centrata sul cliente e non sulle risposte; si occupa degli stili discorsivi e di pensiero e non dei comportamenti.

L’uso di concetti e di parole che nella quotidianità del lavoro vengono dati per scontati, o le visioni del mondo implicite nelle scelte che si compiono nei diversi ambiti istituzionali, necessitano di un gesto di riappropriazione e l’apertura di un tempo condiviso per una riflessione libera, grazie a cui riattivare il senso di regimi discorsivi e di pensiero che vigono in un gruppo di lavoro.

Ciò che è routinario è ciò che è uscito dall’orizzonte di una riflessione attiva ed è un sedimento di ciò che si ritiene o si è ritenuto ovvio. Ma è proprio in tale ovvietà che si viene agiti da pensieri e concezioni della realtà che possono essere percepiti come opachi o inadeguati. Penetrare con un atteggiamento fenomenologico in ciò che appare ovvio già di per sé rimette in gioco forze e volontà di miglioramento e di progresso ed energie rivolte al futuro. Riuscire a progettare e a concepirsi al di là della quotidianità riapre l’orizzonte di senso tanto dell’esistenza personale quanto delle istituzioni in cui si lavora e vive.

A chi si rivolge?

Il lavoro con il consulente filosofo è rivolto a:

a) staff direttivo della scuola

b) personale docente (gruppi di insegnanti che già collaborano tra di loro o gruppi trasversali)

c) personale non docente

d) singoli attraverso l’istituzione di apposito sportello (personale docente, non docente, genitori e discenti)

Con quali strumenti?

Pur non essendoci un metodo univoco per la Consulenza filosofica è possibile identificare in essa un orientamento fenomenologico e decostruttivo.

Il campo privilegiato di intervento è perciò quello discorsivo-concettuale.

Si tratta innanzitutto di individuare e decostruire le retoriche bloccate dei discorsi, i punti in cui essi procedono automaticamente, dove quindi la funzione critica del singolo o del gruppo è disancorata.

La consulenza con i gruppi in linea generale si avvale:

a) del dialogo condotto secondo determinati principi e atteggiamenti.

b) dell’elaborazione di scritti utilizzati con diverse finalità e modalità.

La consulenza individuale utilizza esclusivamente il dialogo.

In questo ambito vengono integrati il dialogo strategico e il dialogo socratico


Con quali obiettivi?

Il nostro modo di pensare e di usare le parole esprime non solo la nostra identità personale, ma anche quella di un luogo o di un gruppo di lavoro. Mai come oggi queste identità si moltiplicano e si fluidificano aumentando la complessità delle nostre relazioni interpersonali e professionali.

Gli obiettivi che il lavoro di consulenza si pone sono:

1) Mettere in luce il complesso di idee e le concezioni della realtà che, non viste, ci determinano nostro malgrado fino nella sfera dell’agire e della relazione col mondo.

2) Prevenire i fenomeni di stress lavoro-correlato.

3) Prevenire i fenomeni di mobbing.

4) Dare attenzione e valore ai processi relazionali e decisionali

5) Elaborare un Codice etico che espliciti un’area di valori e di comportamenti condivisi da parte del gruppo in consulenza.

6) Rafforzamento del senso di partecipazione all’istituzione e alla vita scolastica.

7) Valorizzazione dell’atteggiamento creativo e propositivo del singolo o del gruppo di lavoro.

Conclusioni

Il rapporto col cliente, sia esso un singolo o un gruppo, è aperto e privo di impostazioni teoriche predefinite.

Il consulente filosofo non si pone come una figura direttiva, ma apre assieme al cliente uno spazio di ricerca. Si impegna con lui nella costruzione o ricostruzione di senso della propria esperienza esistenziale e professionale nella convinzione che idee coerenti con i vissuti e con processi decisionali siano la chiave di una vita felice e del buon funzionamento di istituzioni ed organizzazioni.

La sana collaborazione tra uomini avviene sempre quando le persone si trovano nella condizione di esprimere qualcosa di creativo e di introdurre nel proprio lavoro iniziative e modalità relazionali autonome. Quanto maggiore e precisa è la percezione del proprio ruolo e delle proprie responsabilità, tanto migliore sarà il rapporto con sé e con gli altri.